La genetica offre un supporto alla conduzione del progresso, ma affiora sempre in modo parallelo una fobia delle generazioni verso questo gene che appare sempre più misterioso e difficile da comprendere.
La paura non è tanto verso questo gene, quanto quella di perdere la propria identità genetica e ridursi a una entità provvisoria e fragile, mentre oggi ognuno vuole essere un assoluto e impenetrabile dio di se stesso.
Paure che rischiano di accrescere le difese del sè applicando violenza e forze avverse verso chiunque metta in dubbio la genetica già assodata con la tradizione.
Abbiamo paura del progresso, anche se lo vogliamo. Potremmo dire che vogliamo il nostro progresso, e non quello in quanto tale, per quello che è.
O è mio, per me, oppure non deve essere.
La genetica di fondo di ognuno di noi è insomma la superbia della vita, del dire, del fare e del pensare. Il dio della superbia difende il proprio gene a partire dagli umili e dagli ultimi, rendendoli forti a partire dal basso, da dove nessuno si aspetta.
Per questo intanto regna vittorioso e imperturbato.